Sabato 22 marzo, 2003 | BACK | NEXT

«rivitalizzare il multiculturalismo»
Intervista al ministro Sheila Copps che parla anche della sua candidatura alla leadership liberale

di  Angelo Persichilli
CORRIERE CANADESE   (English Version)

«La maggiore differenza tra me e gli altri candidati alla leadership liberale è probabilmente la visione sul futuro del Canada». Il ministro dei Beni Culturali, Sheila Copps, non usa mezzi termini nella sua intervista al Corriere Canadese. Nel corso di un colloquio nell'ufficio di Parliament Hill, il ministro ha parlato, oltre che della leadership in corso all'interno del Partito Liberale, anche dei difficili rapporti tra il Canada e gli Stati Uniti, della necessità di difendere la cultura canadese, del bilinguismo e del multiculturalismo.
Questo il testo integrale dell'intervista.

Ministro Copps, come si sta sviluppando la sua campagna per la leadership?
«Sono estremamente soddisfatta. Sto lavorando in tutto il Canada e sono contenta del risultato fino ad ora conseguito. Mi piace fare campagna elettorale».

Cosa cambia ora con la candidatura del ministro Manley?
«Ingarbuglia un po' le cose ma significa anche che i liberali avranno più scelte da fare. Ciò credo sia buono per tutti: più sono i candidati, meglio è per il partito ed il successo della convention».

Ministro Copps, perché i liberali dovrebbero votare per lei?
«Credo che la maggiore differenza tra noi è il modo di vedere il futuro del Canada. Credo che una delle sfide che il Canada deve affrontare riguarda la necessità di creare un Paese che accetti più diversità, aprendo veramente le porte a tutti i cittadini. È come un matrimonio; si può avere un'ottima unione ma se non si curano questi rapporti si rischia di distruggere tutto. Credo che il partito, ma soprattutto il governo liberale debba fare uno sforzo maggiore per raggiungere tutti, includendo non solo le varie "diversità" regionali, ma anche quelle demografiche».

Come descrive la situazione in questo momento?
«Credo che vi sono molte positive attività nel settore privato ma ci sono persone che ancora nel 2003 si sentono sotto certi aspetti emarginati nel settore pubblico. E questo ci riporta alla discussione avuta tanti anni fa a proposito del ruolo degli immigrati e delle donne. Si possono fare tantissime cose, ma vi sono ancora posti dove non si può accedere. Io voglio battermi affinché nessuno debba vivere in una società dove vi sono ancora sogni proibiti, posti dove non si può andare o ambizioni che si è costretti ad accantonare».

Ho intervistato il consigliere di Hamilton Larry Di Ianni il quale ha detto che prima di prendere una decisione per la candidatura di sindaco vuole vedere, tra le altre cose, se un canadese di origine italiana può essere accettato. Come mai in un Canada multiculturale abbiamo ancora questi problemi, mentre nel melting pot americano abbiamo avuto Rudy Giuliani sindaco di New York?
«Hanno avuto anche Fiorello La Guardia».

Esatto. Ma perché in Canada vi sono ancora queste barriere?
«In effetti non dovrebbero essercene. È assurdo che nel 2003 l'origine etnica sia ancora un fattore che influenza il voto politico. D'altra parte nei consigli della pubblica amministrazione non vediamo molti nomi italiani, e neppure molte donne. Certamente non vi sono minoranze visibili. E questo è il nocciolo della questione. Il tetto invisibile non c'è nel settore privato, tra gli imprenditori, nel mondo degli affari in generale e dove si crea benessere. È diverso invece quando si parla delle strutture pubbliche e del servizio pubblico. Il fatto che il 14% della popolazione appartenga alle minoranze visibili e solo il 7% riesce ad entrare nella pubblica amministrazione è un qualche cosa che deve cambiare. Situazione ancora più critica quando si parla di posizioni più importanti come quelle di capo di gabinetto e certamente non riflette la realtà di questa nazione».

Il Canada è un Paese bilingue e multiculturale. Perché ha bisogno di miliardi di dollari per finanziare il bilinguismo e non mette in preventivo alcun finanziamento per il multiculturalismo?
«Credo che Canadian Heritage dovrebbe appartenere a tutti. Non credo che sia giusto convogliare individui solo verso la porta del multiculturalismo. Tale settore è stato solo una piccola parte del mio ministero e ciò che veramente vogliamo è di aprire a tutti le porte del Canada Council. Per questo motivo abbiamo ora la sezione multiculturale all'interno del Canada Council. Abbiamo chiesto alla Cbc ed ai broadcaster privati di riflettere meglio la diversità canadese. Innanzitutto credo che avere due lingue ufficiali crea un Paese che stabilisce subito un criterio molto importante: nessun gruppo deve prevalere su tutti. È un ottimo punto di partenza per giungere ad un completo rispetto delle diversità».

E il multiculturalismo?
«Credo che per andare verso il futuro si debba sotto certi aspetti tornare indietro. Mi ricordo i giorni in cui c'erano consistenti finanziamenti per l'Heritage languages program, quando c'erano congrui fondi per il Canadian Etno-cultural Council e le opportunità per tutti i canadesi di interagire meglio tra di loro».

Cosa propone?
«Di nuovo, guardare a quello che abbiamo fatto nel passato. Vedere come mettere insieme i vari gruppi non solo dal punto di vista regionale ma anche culturale. E questo è lo scopo del congresso di aprile».

Dai rapporti interni a quelli internazionali, in particolare a quelli con gli Stati Uniti. Come li descriverebbe quelli attuali?
«Certamente abbiamo delle grosse divergenze sulla posizione americana in Iraq, entrati in guerra senza il consenso delle Nazioni Unite. Si tratta comunque di legittime divergenze tra due Paesi democratici e non credo che dovrebbero avere impatto su altri settori. Di certo c'è una grossa interdipendenza economica tra i due Paesi. Questo comunque non significa assolutamente che noi siamo loro nemici; significa solo che abbiamo delle legittime divergenze».

Sono volate parole grosse...
«Sì, da entrambe le parti, ma la relazione tra i due Paesi è molto solida e potrà superare queste tensioni. In molte di quelle parole c'è comunque tutto il significato di questa profonda divergenza. Trovo tra l'altro interessante come alcuni ambienti giornalistici canadesi usino facilmente il termine anti-americano quando si parla solo di divergenze di opinioni. Questo anche per certi membri dell'opposizione come ad esempio Canadian Alliance. Noi abbiamo il diritto di esprimere una nostra opinione basata su una legittima divergenza. Divergenza condivisa dalla maggioranza dei canadesi. Abbiamo il diritto di parlare in nome dei cittadini di un Paese sovrano».

Un Paese sovrano i cui confini, anche a causa della nuova tecnologia, sono sempre meno chiari.
«Siamo dei partner dal punto di vista geografico e certamente abbiamo un rapporto privilegiato, un dono naturale ma anche della storia dei due Paesi».

La domanda è: cosa dobbiamo fare per difendere i nostri confini nel futuro?
«Credo che le istituzioni debbano rinnovarsi con i tempi. Ad esempio il settore della musica. Stiamo alla vigilia di una grossa manifestazione a Ottawa con i Juno Awards. Manifestazione, questa, che promuoverà indirettamente e direttamente centinaia di artisti canadesi. Questo perché vi sono nuove policy. Ad esempio quando noi concediamo una licenza per una stazione radio vogliamo che vengano promossi artisti canadesi e la loro musica. Inoltre nel 2003 ogni giovane canadese che ricorre all'uso degli MP3 saprà che la tecnologia può prendere il sopravvento sulla cultura se non troviamo dei modi per difendere i diritti d'autore. Negli ultimi dieci anni abbiamo imparato a capire meglio l'impatto della tecnologia. Se confrontiamo questo all'era dell'agricoltura, che durò centinaia di anni, a quella della rivoluzione industriale, durata 75 anni, per l'epoca dell'informazione abbiamo avuto solo dieci anni per capirla ed adattarci».

Ci possiamo riuscire?
«Credo che in Canada abbiamo un ottimo modello, ma certamente non significa che siccome abbiamo fatto le cose in un certo modo, dobbiamo continuare a farle seguendo la stessa linea».

Che cambiamenti si aspetta?
«Abbiamo già cominciato. Ad esempio guardiamo al Feature film fund. Adesso è strutturato in modo che si premia chi ha successo, mentre prima si finanziavano film che non raggiungevano a volte nemmeno le sale di proiezione. Adesso vi sono investimenti legati anche ai finanziamenti che giungono dal settore privato. Non vi sono semplici sussidi, ma investimenti e sgravi fiscali. Sta funzionando molto bene».`

 

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